Cronaca dal fronte: tra terrore e censura

Molto spesso il giornalismo di oggi viene criticato per una mancanza di contenuti e per una manipolazione dell’informazione dettata dall’influenza politica del giornale o del canale televisivo.

Per di più, tristemente il giornalismo moderno, specialmente in Italia, tende a dara moltissimo spazio e rilevanza ad argomenti leggeri o, al contrario, ad insistere in maniera quasi morbosa su casi di cronaca nera facendo leva sul lato sentimentale e curioso della popolazione.

Esistono, infatti, moltissimi giornali, programmi televisivi e social media il cui unico scopo è intrattenere l’audience giocando, molto spesso, con i sentimenti delle vittime o dei parenti stretti senza rendere onore alla missione del giornalista di ricercare e riportare la verità senza tentare di manipolare l’opinione del pubblico.

Ma se da un lato abbiamo questi esempi di giornalismo scadente, dall’altro abbiamo il coraggio e la caparbietà dei giornalisti di guerra che continuamente rischiano la propria vita per fornire a noi a casa notizie in diretta dal fronte.

La storia di questi reporter che si mettono in prima linea per l’informazione sono a dir poco ammirevoli e dovrebbero essere di ispirazione a molti.

Una pratica centenaria: ecco com’è nato il giornalismo di guerra di pari passo alla censura

L’informazione è da sempre un mezzo utilizzato da chi è al potere per manipolare ed indirizzare l’opinione pubblica: la censura ed il controllo di pubblicazioni e stampa sono armi tanto potenti quanto subdole perché spesso, chi ne subisce le conseguenze non è nemmeno consapevole di essere vittima di un processo manipolativo.

Purtroppo, la stessa cosa vale per i reporter di guerra. E tutto iniziò con Napoleone Bonaparte nel 1804 che creò nel “Le Moniteur Universel” con lo scopo di informare la popolazione francese sulle sue conquiste. Fin da subito l’imperatore diede ordine ai direttori del Moniteur di utilizzare il giornale come arma propagandistica e di censurare qualsiasi notizia potesse risultare scomoda per la Francia e per il suo ego.

Qualcosa di simile capitò anche a colui che oggi viene considerato il fondatore del giornalismo di guerra: William Russel. Per anni Russel rischiò la vita per inviare in patria notizie fresche dalla Crimea dove nel 1854 si stava combattendo la guerra tra Inghilterra e Russia. Tuttavia, il direttore del Times di Londra non apprezzò la scrittura obiettiva e poco patriottica del reporter e si premurò di censurare e modificare ogni articolo prima di pubblicarlo

La trappola del “News Management”

La censura è un’arte, così come la propaganda. Per anni i governi hanno manipolato i media per controllare l’opinione pubblica e ottenere l’approvazione popolare, a volte in maniera diretta (censurando, omettendo ed imponendo ai reporter di ritrarre un immagine positiva del fronte), altre volte in maniera subdola.

Una delle tecniche più utilizzate è quella del News Management: i giornalisti vengono tenuti lontani dal fronte vero e proprio e vengono condotti sui luoghi dello scontro solo a battaglia finita; inoltre vengono costretti a firmare accordi di confidenzialità e a “coprire” ogni notizia scomoda o negativa pubblicata con una “buona” per controbilanciare e non smuovere troppo gli animi della popolazione.